Din don, è permesso?

L’atrio è quella parte della casa che si affaccia sul mondo. La porta, che separa la nostra intimità dallo spazio esterno, è diventata una barriera più reale che mai da quando è scoppiata la pandemia, e cose che prima davamo per scontate ora non lo sono più. Come accogliere con spensieratezza gli ospiti in casa propria, un’usanza tanto presente in Ticino quanto in altri Paesi. Wendy Duyne Pleij, Max Fonseca, Luber Türkyilmaz e Luca Conti ci invitano calorosamente ad entrare e ci raccontano qualche aneddoto sull’atrio e sull’ospitalità nella loro cultura.

«Gezellig, kom binnen» 🇳🇱

Wendy Duyne Pleij, 61 anni, ha origini olandesi ma è cresciuta in Ticino. Ha studiato architettura a L’Aia, dove ha conosciuto suo marito. Oggi vivono a Mugena e hanno due figli.

Wendy Duyne Pleij, FOTO Mélanie Türkyilmaz
Wendy Duyne Pleij, FOTO Mélanie Türkyilmaz

«Gli olandesi sono persone aperte e gioviali, amano stare in gruppo e vivono intensamente la realtà del quartiere. Le tende sono sempre aperte, in modo che i vicini possano vedere se sei in casa e fermarsi per un caffè o un tè, serviti rigorosamente con un dolce. Le visite spontanee in giornata sono più che benvenute e nel fine settimana capita che si prolunghino fino all’aperitivo. Gli ospiti non devono togliere le scarpe, perché le case sono poco riscaldate. E per trattenere il caldo, di solito all’ingresso c’è una doppia porta: nella prima stanza ci sono tappeto e attaccapanni, poi un corridoio con una scala stretta e ripida che porta in salotto. Ricordo che gli studenti appendevano pure le bici sul corrimano di quella scala così stretta. Altrimenti fuori te le rubavano!». 

«Pode entrar» 🇧🇷

Max Fonseca ha 30 anni ed è cresciuto a Salvador, in Brasile, dove lavorava come giornalista. Vive a Ponte Capriasca con la sua compagna e studia comunicazione visiva alla SUPSI.

Max Fonseca
FOTO Mélanie Türkyilmaz

«Nei quartieri periferici di Salvador c’è un forte senso di comunità. Fa molto caldo, quindi la porta di casa rimane aperta e spesso, quando si esce a prendere una boccata d’aria, si va dai vicini, anche solo per chiedere come va. Non si ha mai l’impressione di disturbare. La nostra famiglia ha sempre ricevuto tante visite, con gli ospiti ci scambiamo due baci e ci abbracciamo forte.

Ricordo mia nonna, quando arrivava qualcuno di poco gradito nascondeva una scopa dietro la porta: si diceva lo facesse andare via prima! Nell’atrio non possono mancare piante come la Comigo ninguem pode (“con me nessuno può”) o l’Espada de São Jorge “la spada di San Giorgio”. La prima emana buona energia, la seconda rappresenta la spada del Dio guerriero, una divinità africana portata in Brasile con gli schiavi».

«Buyur» 🇹🇷

Luber Türkyilmaz, 65 anni, è nata in Turchia. Vive con il marito a Bellinzona, dove ha lavorato per 20 anni nell’economia domestica dell’Ente ospedaliero. Hanno due figli.

Luber Türkyilmaz
FOTO Mélanie Türkyilmaz

«L’ospitalità è una delle particolarità della cultura musulmana. Io amo avere ospiti, e ci tengo molto a mantenere un rapporto stretto con la famiglia, la comunità turca in Ticino e i vicini di casa. Gli ospiti devono sentirsi bene, ed è compito dei padroni di casa non far mancare loro nulla. Tutta la famiglia si prepara al loro arrivo, anche i più piccoli, che imparano presto a dare una mano in cucina.

All’entrata ci si scambia due baci e ci si abbraccia. Da noi si usa togliere le scarpe, perché pregando per terra cerchiamo di mantenere pulito il pavimento, ma gli ospiti sono assolutamente liberi di tenerle! Non appena si sono accomodati, si offre il caffè, a qualsiasi orario! Nel nostro atrio, vicino alla porta, abbiamo appeso l’Occhio di Allah, un amuleto che protegge dal Malocchio».

«Avanti» 🇨🇭

Luca Conti, 46 anni, è cresciuto in Ticino. È architetto e ha insegnato al Politecnico di Losanna, prima di rientrare a Bruzella (Valle di Muggio). Ha uno studio ed è docente alla SUPSI.

Luca Conti
FOTO Mélanie Türkyilmaz

«Rispetto a Losanna, la mia vita sociale in Ticino è meno attiva, perché lavoro fino a tardi e qui la gente dopo una certa ora non esce. Avere ospiti è quindi un vero e proprio avvenimento, una festa a cui tengo dare la giusta attenzione.

Di solito prendo libero per pulire, fare la spesa e cucinare, e ai bambini faccio un regalo, perché ricordo che da piccoli io e mio fratello gemello eravamo ben contenti di riceverne uno! Nel mio atrio ho vari oggetti “a reazione poetica”, ovvero che stimolano i ricordi: tre seggiolini recuperati dall’ex Cinema Teatro di Chiasso, un appendiabiti progettato da me e una biblioteca, sulla quale ho esposto vecchie caffettiere e teiere. Perché per me, citando Oscar Wilde, “niente è più necessario del superfluo”».

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