Cooperazione

L’informazione che mi piace

Sui social ognuno vive nella propria bolla di contenuti. Un’inchiesta nelle redazioni di quattro quotidiani svizzeri mostra le conseguenze di un giornalismo che convive con contenuti personalizzati, fonti discutibili e disinformazione.

È con gli occhi ancora pieni di sonno, senza neanche aver bevuto il caffè, che iniziamo a leggere i messaggi su WhatsApp, guardare le stories su Instagram e dare un’occhiata alle e-mail. Neanche svegli e già siamo sommersi da immagini, storie, contenuti di ogni tipo. O perlomeno, lo sono il 97% degli svizzeri che hanno uno smartphone. E ancora di più quel 4,5% della popolazione che si definisce anche social, ovvero che «utilizza la rete come luogo di condivisione e scambio di informazioni ed esperienze». Aggettivo che fa parte della lingua italiana ormai dal 2012.

Di canali social ce ne sono tanti, e anche se hanno caratteristiche diverse, il loro scopo è uno: offrire ai propri utenti strumenti per potersi esprimere e creare delle comunità virtuali con interessi in comune (community). E questo meccanismo funziona grazie agli algoritmi, che registrano le nostre informazioni e, a dipendenza dell’età, del sesso, della residenza, dei “mi piace” che lasciamo qua e là, decidono quali contenuti farci vedere. Insomma, niente è lasciato al caso.

Le notizie passano dai social

Cosa succede però se questi canali, costruiti quasi su misura per ognuno di noi, diventano i media d’informazione più diffusi? Se i cittadini leggono le notizie su Facebook, invece che sui giornali? Più del 70% degli svizzeri utilizza i social come canali principali. Uno dei problemi è che vengono usati soprattutto per intrattenersi o socializzare. Non per informarsi.

Sono soprattutto i giornali a soffrire di questa concorrenza. Nonostante la pandemia abbia fatto riavvicinare molti lettori – secondo uno studio sulla qualità dei media del 2020 dell’Università di Zurigo il 44% degli intervistati ha fiducia nei media tradizionali, mentre solo il 19% nei social – le entrate pubblicitarie continuano a calare e la situazione è sempre più precaria. Per capire come si sta muovendo la stampa ticinese, facciamo un salto a Muzzano per incontrare Paride Pelli, direttore del Corriere del Ticino, e a Bellinzona, dove troviamo Matteo Caratti, ex direttore de laRegione. Con le dovute precauzioni, vista la delicata situazione pandemica, ci permettono di entrare nelle loro newsroom.

Emerge un panorama ticinese ancora dominato dalla carta stampata, nonostante il calo degli abbonamenti e delle entrate pubblicitarie. I giornali sono attivi sui social e stanno affrontando seriamente la «grande sfida di riuscire a mantenere la propria identità sui diversi canali, continuando a produrre notizie verificate e credibili», ci conferma Matteo Caratti. Questo anche se le risorse sono diminuite, rispetto al passato, mentre il ritmo di lavoro è decisamente più veloce. Se una volta c’era la lotta della sera per uscire la mattina seguente con le notizie più fresche sul giornale, oggi c’è la battaglia del mattino, del mezzogiorno, della sera, in base ai picchi di lettura online. «Per questo la nostra strategia editoriale è “digital first, smart print”. Pubblichiamo le notizie prima sul web e poi sulla carta, solitamente in una versione più lunga e approfondita – ci spiega Paride Pelli –; inoltre il Corriere del Ticino è stato il primo nel nostro cantone a introdurre un sistema di paywall sul sito, perché siamo convinti che, per preservare il giornalismo di qualità, gli articoli vadano pagati. Anche se sono online». Ciò che più lo preoccupa è che sui social non ci si può informare a 360°. «Il nostro Paese fa della democrazia diretta la sua forza, quindi per poter andare a votare bisogna essere ben informati. È fondamentale farsi una cultura leggendo – continua Pelli –. Paradossalmente, la fase molto difficile del lockdown ha aiutato il giornalismo di qualità, perché i cittadini avevano fame di notizie vere, verificate da fonti autorevoli». Motivo che ha spinto il Corriere del Ticino ad offrire un abbonamento gratuito di tre mesi per il sito e l’applicazione CdT Live.

I tempi corrono veloci e i canali di fruizione delle notizie sono in continuo cambiamento. Ma il compito del giornalista «è e rimane quello di portare l’informazione al lettore. Quindi bisogna andare là dove il lettore s’informa – ci dice Caratti in chiusura – anche se è una prospettiva che può non piacere, perché vuol dire informarlo in ogni momento, con modalità diverse. Però oggi è così, e non bisogna perdere di vista qual è il nostro ruolo, un ruolo pubblico e di interesse pubblico».

La situazione oltre Gottardo

La stessa esperienza la stanno vivendo le redazioni dei quotidiani svizzero-tedeschi e romandi, come testimoniano Maria Brehmer, redattrice responsabile dei social media per l’Aargauer Zeitung e per il gruppo Nordwestschweiz, e Serge Gumy, direttore del quotidiano La Liberté di Friborgo. Li incontriamo nella newsroom della casa editrice CH Media ad Aarau e nella redazione a Friborgo.

Brehmer gestisce in prima persona la pianificazione dei contenuti che vengono pubblicati sui social: «Oggi è fondamentale avere un budget a disposizione per sponsorizzare i propri articoli sulle piattaforme digitali. All’inizio le case editrici hanno faticato ad accettare l’idea di dover investire soldi per trovare nuovi lettori su Facebook, perché sino ad allora erano i lettori a dover pagare per poter leggere il giornale. Non il contrario». I media si sono poi resi conto di essere un passo indietro, per esempio rispetto al marketing, che aveva già capito come sfruttare al meglio gli algoritmi per ottenere più visibilità, promuovere in modo mirato i propri prodotti e guadagnare nuovi clienti. Strategie che, secondo Brehmer, permettono anche alla stampa di far conoscere la propria linea editoriale e raggiungere nuovi lettori. «E grazie alle insights (statistiche con i dati degli utenti, ndr) otteniamo molte informazioni su chi ci legge e su come si comporta. Ogni mattina guardo come sono andati gli articoli pubblicati e una volta al mese faccio un’analisi più completa, per capire cosa è stato più cliccato o condiviso e migliorare la strategia di pubblicazione», termina Brehmer.

Per il direttore de La Liberté uno dei punti centrali dell’informarsi sui social sono le fonti. «Leggere contenuti di qualità è possibile: anche la NZZ pubblica i suoi articoli su Facebook. I lettori devono avere la libertà di informarsi e di esprimere la propria opinione su queste piattaforme – sostiene Serge Gumy –; il problema è la massa di informazioni con cui sono confrontati. Mentre noi giornalisti selezioniamo, approfondiamo e verifichiamo ciò che pubblichiamo, sui social c’è di tutto». Ecco perché spetterebbe soprattutto alla scuola il compito di aiutare i giovani a sviluppare un forte spirito critico, porsi le domande giuste e mettere sempre in discussione le fonti. «Il futuro dei media è digitale, quindi è importante muoversi con consapevolezza su queste piattaforme. Anche per la nostra democrazia – conclude preoccupato Gumy. La stampa vive un periodo difficile, temo che senza l’intervento rapido e incisivo della Confederazione e dei Cantoni, in Svizzera scompariranno diversi titoli. E il giornalismo, così come lo conosciamo oggi, potrebbe non esistere più».

Intervista all'esperta

Signora Fehr, per i giornali cartacei è necessario essere presenti sui social?

Assolutamente sì. Oggi questi canali sono fondamentali per raggiungere nuovi gruppi di lettori, sicuramente più giovani. Inoltre sono un ottimo strumento per fare pubblicità al proprio giornale, per farsi conoscere e per presentare i propri contenuti redazionali a un pubblico molto vasto. Lavoravo ancora per Somedia, quando analizzando i dati del traffico online mi sono accorta che più del 50% degli utenti sul nostro sito arrivava proprio grazie a Facebook e agli altri social. Essere attivi su queste piattaforme dà una visibilità da non sottovalutare.

Di quali competenze ha bisogno una redazione per gestire questi canali?

Quando si parla di social media bisogna innanzitutto essere consapevoli dell’esistenza di diversi canali, ognuno con le sue peculiarità, i suoi algoritmi e il suo pubblico. Anche se tutto cambia molto velocemente, è indispensabile avere qualcuno in redazione che sia sempre informato sugli sviluppi e sulle novità. Tutto ciò richiede molto tempo e un personale specializzato, che spesso le realtà editoriali più piccole non possono permettersi.

Nell’edizione cartacea, per leggere gli articoli si paga un abbonamento. Sui social, invece, per far sì che gli stessi articoli appaiono sulla bacheca di Facebook di utenti potenzialmente interessati a leggerli, è la redazione stessa a dover investire dei soldi nella sponsorizzazione online. Non è strano?

Le redazioni all’inizio non accettavano questa nuova realtà. Ma oggigiorno il marketing digitale è indispensabile per raggiungere quante più persone possibili, aumentare la visibilità dei propri articoli e, di conseguenza, della testata stessa. L’avvento dell’online ha comportato un cambio di paradigma anche delle strategie pubblicitarie.

Gli abbonamenti ai giornali negli ultimi anni sono in calo: come si finanzieranno in futuro?

Credo molto nell’interesse dei giovani lettori e penso che, così come si abbonano a Netflix per i film o a Spotify per la musica, saranno disposti a pagare anche per leggere gli articoli di una testata giornalistica, probabilmente in forma digitale. Attualmente in Svizzera la carta non è ancora morta, anzi, convive bene con l’online. È fondamentale quindi che i giornalisti continuino a dare il meglio di sé offrendo contenuti di qualità.

Piattaforme social più utilizzate in Svizzera

In base al numero di utenti nel 2020

  1. Facebook: 4,6 milioni
  2. LinkedIn: 3,1 milioni
  3. Instagram: 2,7 milioni
  4. Snapchat: 1,4 milioni
  5. Pinterest: 1,26 milioni

Fonte: onlineKarma.